Ritratto della Giovane in Fiamme – La recensione
Ritratto della Giovane in Fiamme: la recensione
Narrare attraverso il linguaggio delle immagini
Céline Sciamma
2019
“Ho trovato nella solitudine la libertà di cui parlavate, tuttavia ho sentito la vostra mancanza.”
Solitudine, emancipazione, intimità e scoperta: quante volte ci siamo imbattuti in questi temi all’interno della letteratura, nell’arte o nel cinema? La risposta non si può quantificare ma sarebbe comunque un numero molto alto, numero che può essere giustificato dalla varietà di possibilità e potenzialità di declinazione di questi argomenti. A volte, infatti, il modo in cui viene presentata una narrazione può sovrastare la narrazione stessa. È quello che accade con la storia che ci vuole raccontare Céline Sciamma, regista francese, in Ritratto della Giovane in Fiamme (Portrait de la Jeune Fille en Feu), presentato al Festival di Cannes 2019 dove ha anche vinto il Prix du scénario.
Attraverso un profondo flashback, veniamo trasportati nella Francia del XVIII secolo. Marianne (Noémie Merlant), giovane e talentuosa pittrice, è chiamata da una nobile decaduta a spostarsi su una remota isola della Bretagna per lavorare al ritratto della figlia, ritratto che, una volta spedito in regalo, dovrà sigillare il fidanzamento tra la ragazza e un nobile di Milano. La giovane Héloise (Adèle Haenel), dopo essere stata cresciuta in un convento, è stata riportata a casa dove, in un forzato isolamento, si ribella ai numerosi tentativi degli svariati pittori professionisti incaricati dalla madre, finché non arriva Marianne presentandosi come dama di compagnia: le due cominciano a passare le loro giornate insieme, immergendosi in un’intimità che le travolgerà completamente.
La narrazione risulta forse un po’ troppo lenta ma anche altrettanto delicata, specialmente nella prima parte del film, man mano che affrontiamo la quotidianità delle due ragazze attraverso lunghe passeggiate in riva al mare. Mentre le onde, a poco a poco, richiamano la spiaggia a sé, allo stesso modo le maschere si levano, le facciate si abbassano e le loro identità si rivelano per quello che sono. Costrette a passare gran parte delle giornate insieme, devono fare i conti con le conseguenze del far entrare un’altra persona all’interno della propria mente, creando una connessione che va al di là del semplice legame umano ma che si tramuta in vera e propria comprensione attraverso l’intimità femminile, in una maniera molto simile a quella che vediamo tra Hideko e Sook-hee in Mademoiselle (The Handmaiden, 2016) di Park Chan-wook. È questo il primo grande macigno con cui dobbiamo fare i conti: quasi l’intero film è esclusivo di sole figure femminili, legate dalla stessa oppressione e complicità. Il confronto che può avvenire solo tra donne è reso perfettamente dalla purezza dei rapporti che si instaurano, talmente puri che anche una scena come quella di un aborto viene resa con una maestria tale da risultare naturale. Queste sensazioni sono portate talmente tanto all’estremo che, verso la fine di Ritratto della Giovane in Fiamme, quando entra in scena il primo personaggio maschile dell’intera pellicola, non possiamo evitare di sentirci a disagio, come se l’armonia equilibrata dell’intera narrazione si fosse improvvisamente rotta. È lo stesso modo in cui si sentono Marianne e Héloise perché nella loro storia qualcosa è cambiato e non potrà più tornare come prima.
Il personaggio di Héloise rappresenta una particolare forma di oppressione femminile che la costringe a chiudersi in uno stato di noia esistenziale sopprimendo la propria volontà e identità. Le cose cambiano con l’incontro con Marianne. Le due ragazze cominciano a vedere loro stesse l’una nell’altra, arrivando ad un livello di conoscenza personale tale da far sembrare l’evolversi della loro relazione quasi inevitabile. È in questo rapporto che trovano la tanta ricercata libertà individuale ed espressione di sé, un sé che, finalmente, sboccia in una scena simbolica di battesimo nell’acqua del mare e, successivamente, tra le fiamme che bruciano figurativamente il vestito.
La natura della relazione in Ritratto della Giovane in Fiamme è espressa perfettamente dall’insieme della fotografia di Claire Mathon e dalla componente artistica dei dipinti che si richiamano continuamente a vicenda. L’arte assume, così, un ruolo chiave come veicolo della memoria e dei ricordi. Marianne, esattamente come la regista Sciamma, riproduce nei suoi dipinti tutte le immagini, le espressioni e i sentimenti dell’identità e dell’amore femminile che la storia ha nascosto e reso invisibili. Non una sola linea deve essere trascurata. L’immagine continua ad acquisire sempre più significato mentre il film avanza e Marianne deve lottare con la sfida del rappresentare la tensione e il desiderio, un desiderio che si manifesta esattamente come dei quadri e delle apparizioni nella sua mente.
Mentre ci avviciniamo all’inevitabile, siamo costretti a fare i conti con le conseguenze delle scelte che prendiamo ogni giorno all’interno delle relazioni. L’abilità di Céline Sciamma è stata, però, quella di rendere visibile il lato più umano e intimo di queste scelte, un’abilità che rende l’intero film memorabile perché, d’altronde, come ci insegnano Orfeo ed Euridice nelle pagine lette da Héloise, Orfeo, di ritorno dagli inferi, volgendo l’ultimo sguardo all’amata prima di perderla per sempre non fa la scelta dell’innamorato, fa quella del poeta. E Ritratto della Giovane in Fiamme, sicuramente, è raccontato col linguaggio di una poesia.
Ritratto della Giovane in Fiamme (Portrait de la Jeune Fille en Feu), dir. Céline Sciamma, 2019
Mademoiselle (아가씨, Ah-ga-ssi – The Handmaiden), dir. Park Chan-wook, 2016
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