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Elvis: una voce, una rivoluzione

Elvis: una voce, una rivoluzione

Elvis: Austin Butler nella locandina del film

Baz Luhrmann

2022

4/5

Elvis. Un nome, mille cose da raccontare. Ma come evitare di renderle un monotono elenco di avvenimenti? Semplice, utilizzando il classico espediente del narratore, ma con un tocco di originalità in più: lasciando la parola al controversissimo colonnello Thomas Andrew Parker. Scelta audace quella di Baz Luhrmann, quella di concedere l’onere del racconto a colui che non è solo il creatore della stella che tutti noi conosciamo, ma ne è anche il suo distruttore. Ecco che, attraverso le parole dell’ormai in fin di vita manager, conosciamo a poco a poco la travagliata vita di Elvis Aaron Presley.

Tralasciando i dettagli caratteristici della sua infanzia, descritti nella pellicola in maniera estremamente attenta e delicata, si potrebbe riassumere la persona che Elvis era con una parola sola: amore. Amore per Grace, la madre, unica persona che non ha mai smesso di proteggerlo, e per la quale il cantante costruirà una casa, dal nome appunto Graceland. Amore per la musica, nato grazie all’infanzia vissuta nei pressi del quartiere afroamericano di Tupelo, Mississippi, che lo porterà ad appassionarsi delle sonorità più disparate, come il gospel, il rhythm and blues e il country and western. Infine amore per il pubblico, che inizia ad adularlo sin dai suoi primi movimenti di anca fino alle sue ultime difficili esibizioni, ormai esaurito dagli estenuanti ritmi di lavoro stabiliti dal colonnello.

Da questo accurato racconto si può pertanto dedurre che l’unico amore assente nella vita del re del rock’n roll è il più fondamentale di tutti: l’amore per se stesso, la mancanza del quale lo spingerà a fare scelte sbagliate non solo per la sua carriera ma anche per la sua salute.

Elvis: Austin Butler in una scena del film

L’importanza della musica e un Austin Butler che spacca

Il lato caratteriale del protagonista e i dettagli prettamente personali legati alla sua vita, come il sentimento di vuoto causato dalla morte della madre o il senso di smarrimento in seguito alla separazione dalla moglie, vengono rappresentati in maniera estremamente delicata e sensibile, senza un’eccessiva drammaticità. La ragione che risiede dietro a questa scelta narrativa è quella di porre l’accento su ciò che Elvis rappresentava e rappresenta tuttora in quanto cantante, ovvero la rivoluzione.

Sin dal principio, infatti, le scene mostrano come l’Elvis bambino divenne ossessionato, quasi impossessato, dalle sonorità black da cui era circondato, innamorandosi tanto del loro approccio alla vita quanto del loro modo di cantare e vestire. Il focus è e rimane uno, la nascita dello stile più anticonformista e libertino di sempre: il rock’n roll (in italiano dondola e rotola). Quest’ultimo infatti richiama tutte quelle movenze “scandalose” attraverso cui il cantante si “liberava del suo spirito”, creando appunto nient’altro che scandalo agli occhi delle autorità e dei genitori, preoccupati delle reazioni impazzite delle ragazzine durante le sue performance (cosa che tra l’altro emerge in maniera esilarante in numerose scene del film).

Naturalmente la celebrazione di quest’arte risulta possibile soprattutto grazie alla bravura del giovanissimo Austin Butler che, dopo due anni di studio matto e disperatissimo della vita del re del rock’n roll, dimostra di passare l’esame a pieni voti. Non solo si cimenta in prima persona nel canto di alcuni brani, ma riesce anche a riprodurre i cambiamenti di voce del maestro e il modo in cui si muove sul palco in maniera impeccabile, quasi da sembrare spesso sostituito da un ologramma. La sua interpretazione è magistrale, priva di qualsiasi forma di banalità o imitazione, forse anche aiutata dal carattere pacato e timido che accomuna il vero e il finto Elvis.

Un supereroe nato nell’epoca sbagliata?

Lo sfondo del racconto è il decennio che va dagli anni 50 ai 60, pieno di importanti conquiste, nuove libertà ma anche purtroppo orribili tragedie. Ecco che a fianco a queste numerose vittorie e sconfitte troviamo un analogo parallelismo: i successi di Elvis contrastati dalle volontà del potentissimo Parker, che non fa altro che confermare il suo egoismo e la sua avarizia a spese del povero cantante. Lo scontro tra i due è paragonabile a una vera e propria battaglia tra “il cattivo e il supereroe”, quasi a richiamare la definizione che Elvis usava dare a se stesso durante l’infanzia passata a leggere fumetti: 

“Da piccolo ero un sognatore. Leggevo i fumetti e diventavo l’eroe della storia. Guardavo un film e diventavo l’eroe del film. Ogni sogno che ho fatto si è avverato un centinaio di volte.”

Sfortunatamente, come tutti sappiamo, la guerra si concluderà con la prevalsa del nemico e la sconfitta del supereroe. Infatti, alla fine della visione di questo emozionante film, straziati dalla visione di un (reale) Elvis ormai distrutto psicologicamente e fisicamente dai farmaci, non possiamo fare altro che porci questa domanda: come sarebbero andate le cose se Elvis fosse vissuto ai tempi nostri? Avrebbe forse vissuto più a lungo in un’epoca sempre meno censurata e sempre più aperta alla libertà di pensiero? O non sarebbe mai diventato il re del rock’n roll in un’era dove l’eccentricità e lo scandalo vengono premiati con sempre più like e visualizzazioni? 

Fonti

Elvis (Id., 2022), Baz Luhrmann

Valentina Eleuteri

Studentessa di Management of Human Resources, è una ragazza con una forte curiosità e dai mille interessi: appassionata di Fotografia, Storia della Musica e del Cinema, ama viaggiare e imparare nuove lingue, adora stare in mezzo alla natura e agli animali. Crede fortemente nel valore della Parola, da lei definita come "massima e inesauribile fonte di magia, in grado sia di infliggere dolore sia di alleviarlo" (cit. Albus Silente).

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