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Nomadland: la riscoperta di un genere

Nomadland: la rinascita di un genere

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Chloé Zhao

2020

4.5/5

Un passo alla volta, Chloé Zhao sta conquistando l’ammirazione del pubblico internazionale grazie all’ultimo film presentato in anteprima durante la scorsa edizione della Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia: Nomadland. Vincitore, proprio lì, del Leone d’Oro e successivamente anche di due Golden Globes, Nomadland è al momento candidato anche per diversi premi Oscar, tra cui quello per il miglior film e per la migliore regia. Insomma, di sicuro le aspettative con cui ci si approccia inevitabilmente a un film simile non sono affatto mediocri e il rischio è, come ben sappiamo, di ritrovarci davanti a qualcosa che potrebbe non essere all’altezza della fama che lo precede. Eppure, Chloé Zhao, anche a fine film, si dimostra totalmente meritevole di tutto il successo giunto specialmente nell’ultimo periodo.

Frances McDormand è chiamata a interpretare Fern, una donna costretta a intraprendere una vita da nomade a bordo del suo furgoncino, unico bene da cui non riesce davvero a separarsi, a seguito del progressivo abbandono della città in cui viveva dovuto alla chiusura dell’azienda mineraria locale e alla morte del marito.

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La riscoperta del viaggio

Nomadland è a tutti gli effetti la riscoperta di un genere che ha basi solidissime nella tradizione americana: quello del viaggio. Un movimento sia spirituale che fisico che abbiamo già conosciuto partendo dalle carovane di John Ford fino al viaggio descritto da Kerouac. Si tratta, in questo caso, del tentativo di una rinascita in seguito a un evento che potrebbe aver creato un trauma maggiore rispetto a quello che si è pronti ad ammettere. D’altronde, lo sottolinea lo stesso nome che Fern attribuisce al camioncino, ovvero Vanguard, avanguardia, la speranza di trovare un nuovo appiglio con cui poter andare “oltre” e superare i propri fantasmi.

Il racconto, però, va ben oltre arrivando a essere porta voce di tutte quelle persone che negli ultimi due decenni, hanno dovuto subire le conseguenze della crisi economica. Nomadland si trasforma non tanto in una denuncia quanto in una documentaristica rassegna delle conseguenze che il capitalismo porta, inevitabilmente, con sé. A voler trovare a tutti i costi il pelo nell’uovo, forse sarebbe stato maggiormente efficace evitare, all’interno di un quadro quasi perfetto come quello di Nomadland, di sfociare, sul finale, in un positivismo che trova casa in una filiare Amazon totalmente immaginario ed estraneo alla realtà.

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Il risultato di un lavoro corale

Se Chloé Zhao riesce, comunque, a portare a casa un lavoro non solo soddisfacente ma totalmente meritevole dell’elogio pubblico, è grazie, sicuramente a un lavoro corale totalmente studiato e che non lascia nulla al caso. Particolare è specialmente la scelta di utilizzare attori non professionisti affiancandoli alla sublime McDormand (non che ci si potesse aspettare altro da un’attrice del suo calibro), chiamati semplicemente a interpretare sé stessi, quasi attraverso un tocco neorealista. Questi volti di nomadi, dolci, provati e specialmente reali, posti sulle vedute tipiche anche delle badlands restituiscono alla natura il suo potere salvifico e catartico. E così, sopra le emozionanti note di Einaudi, i primi piani diventano decorazione di paesaggi che sembrano dipinti grazie alla fotografia di Joshua James Richards. 

Sicuramente, Nomadland non è un film veloce e dinamico dal punto di vista narrativo ma raramente capita di potersi abbandonare, senza alcun filtro e con lo sguardo totalmente disilluso e innamorato, a scene visive tanto emozionanti quanto espressive. 

Fonti

Nomadland (2020), dir. Chloé Zhao

Valentina Dadda

Studia scienze dei beni culturali ed è innamorata da sempre del cinema e della letteratura, suoi compagni di viaggio da una vita. Affronta le giornate passando da una citazione all'altra e passerebbe ore a parlare di scienza o di femminismo, o di tutte queste cose insieme.

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